Il Cenobio, oggi proprietà privata degli eredi della famiglia Zanucchi Pompei che in seguito alla soppressione degli ordini religiosi lo acquisirono nel 1869 dal Comune di Pesaro, ha potuto usufruire di un finanziamento PNRR-Investimento 2.2 Architettura Rurale.
Grazie a questo finanziamento è stato possibile procedere ad interventi mirati che hanno permesso di valorizzare elementi importanti del complesso conventuale e che ne hanno reso più sicura la fruizione; in particolare il progetto si è concentrato nei restauri del muro di cinta; del vestibolo d’ingresso, dell’altare sinistro della Chiesa, di alcuni importanti reperti archeologici e del giardino.
(Roberta Martufi)
Alla chiesa e al convento si accede attraverso un ambiente voltato che prima degli ultimi interventi si presentava in notevole stato di degrado; ciò nonostante non passavano di certo inosservati né il bellissimo portale in pietra della Cesana, su cui è indicata la data di consacrazione della chiesa - 22/04/1457 - né la presenza di probabili elementi pittorici nel muro di fondo su cui è posto il portone d’ingresso al convento.
Il progetto si è quindi concentrato innanzitutto nella bonifica della muratura dell’intero ambiente che presentava evidenti segni di umidità di risalita; si è quindi proceduto al consolidamento degli intonaci originari e alla rimozione di quelli cementizi.
La fase successiva è stata quella della ricerca e del successivo consolidamento delle decorazioni pittoriche ritrovate ed infine si è posto mano al delicato intervento di restauro del portale in pietra. (Roberta Martufi)
Particolarmente lesionato, e in gran parte crollato, erano sia il muro di contenimento del giardino verso la proprietà dell’Imperiale che il muro interno che delimita la zona pubblica da quella “privata” dei frati. Si tratta di antichi muri realizzati con ricorsi di mattoni e cogoli in arenaria del San Bartolo per i quali, con la tecnica del cuci e scuci, si è provveduto al consolidamento e al ripristino della “copertina” sommitale per evitare future infiltrazioni piovane. Per lo stesso fine le murature sono state stuccate senza però alterare la cromia originaria degli antichi materiali. (Roberta Martufi)
L’intervento ha previsto innanzitutto il riordino del disegno del giardino che, seppur riconoscibile dalle tracce nel terreno, era manchevole in alcuni tratti; sono stati quindi integrati i mattoni e i coppi antichi; si è rigenerato ed arricchito il terreno abbandonato da troppo tempo; sono stati fatti trattamenti alle antiche piante di bosso attaccate dal Lepidottero asiatico noto come piralide e si è previsto un impianto di irrigazione. Nei parterres poi, non avendo trovato documenti o tracce delle piante utilizzate in antico, sono state inserite piante di lavanda selvatica, rose rifiorenti e al centro l’elicriso a corona del bosso potato a sfera, in sostituzione della palma che era stata precedentemente abbattuta in quanto malata. Sul perimetro esterno sono stati integrati i bossi e gli iris mancanti e riordinata la vite con tutori di pali di castagno. Particolare attenzione è stata prestata alla valorizzazione dell’antica Rosa banxiae e del cipresso secolare su cui si inerpica; a questo fine è stato fondamentale rialzare la pergola che era significatamene abbassata a causa dell’eccessivo peso della rosa consolidando e restaurando la struttura esistente. Grazie ad un fortunoso ritrovamento in un angolo del giardino è stato possibile ricollocare la prima rampa della scaletta in ferro che, durante la seconda guerra mondiale, permetteva ai soldati tedeschi di raggiungere la piattaforma collocata sulla cima dell’albero. Nella parte del “boschetto” è stata restaurata la vasca d’acqua dalla inconsueta forma ellittica e nel sottobosco sono state riportate le ortensie.
Infine negli antichi vasi per agrumi sono state messe a dimora piante di limoni e di aranci amari selvatici di Grottammare, che i documenti rovereschi chiamano “agrumi del fermano”, una varietà delle Marche meridionali che, avendo una maggior acidità, meglio sopportano il clima ventoso e ricco di salsedine del colle San Bartolo. (Roberta Martufi)