Cipresso comune
Cupressus sempervirens
Cupressus sempervirens, appartenente alla famiglia delle Cupressaceae, è una conifera sempreverde longeva, a portamento arboreo, originaria del Mediterraneo orientale e dell’Asia minore, oggi ampiamente coltivata e naturalizzata in tutto il bacino mediterraneo. La specie presenta due forme principali: la var. pyramidalis (o “stricta”), caratterizzata da chioma strettamente colonnare con rami appressati al fusto, e la var. horizontalis, con chioma più espansa e rami patenti. Può raggiungere altezze di 25–30 m (eccezionalmente oltre 40 m) e diametri considerevoli (fino a quasi 2 m), con apparato radicale fittonante ma capace di svilupparsi orizzontalmente in suoli superficiali o rocciosi. La corteccia è bruno–grigiastra, sottile, fessurata longitudinalmente negli esemplari maturi; le foglie sono squamiformi, opposte, persistenti, di colore verde scuro; i galbuli, subglobosi o ellissoidi, maturano in due anni e contengono numerosi semi bialati.
Dal punto di vista ecologico, il cipresso comune è specie eliofila, xerofila e termofila, adattata a climi temperato–caldi con estati siccitose e inverni miti. Tollera bene la siccità e le alte temperature, prediligendo substrati calcarei o ben drenati, anche poveri e sassosi, ma si adatta a un’ampia gamma di condizioni pedologiche purché non soggette a ristagno idrico. Vegeta dal livello del mare fino a circa 800–1000 m di quota, in formazioni di macchia mediterranea, boschi aperti e ambienti collinari aridi, svolgendo un ruolo importante nella protezione del suolo dall’erosione e come frangivento. Sotto il profilo etnobotanico, C. sempervirens riveste un forte valore simbolico e culturale in area mediterranea fin dall’antichità, associato a significati di eternità e sacralità. È tradizionalmente impiegato come specie ornamentale in viali, giardini storici e aree cimiteriali, nonché in filari frangivento in ambito agricolo. Il legno, di colore bruno–giallastro, è molto durevole, resistente agli attacchi xilofagi e agli agenti atmosferici, ed è stato storicamente utilizzato in carpenteria, ebanisteria, costruzioni navali e per la realizzazione di infissi e manufatti di pregio. L’olio essenziale estratto da foglie e galbuli trova impiego in profumeria e in fitoterapia tradizionale per le sue proprietà astringenti e balsamiche. La specie è inoltre apprezzata per la capacità di assorbire inquinanti atmosferici e per il contributo alla biodiversità, offrendo rifugio e siti di nidificazione a diverse specie di avifauna.
(Carlo Urbinati, Gianmarco Braconi, Tommaso Spilli e Enrico Tonelli)
La datazione dell’esemplare del cenobio si è rivelata particolarmente complessa a causa della presenza di numerosi falsi anelli, fenomeno comune in molte specie del genere Cupressus. Tali strutture si formano in risposta a interruzioni temporanee dell’attività cambiale, spesso indotte da stress idrici estivi. Il cipresso, infatti, avvia la sua attività cambiale in primavera, ma può sospenderla durante i mesi più siccitosi, per poi riattivarla in autunno e, in annate particolarmente miti, anche nel periodo invernale. Tale comportamento può generare delle discontinuità fra legno primaticcio e tardivo che anche al binoculare possono a prima vista apparire come anelli distinti, rendendo difficoltosa la datazione. Per dirimere i dubbi si è proceduto dapprima al confronto con la serie di accrescimento del secondo cipresso campionato presente nel giardino del Cenobio e poi con serie cronologiche presenti nel database del laboratorio, relative ad individui arborei della stessa specie campionati nel parco urbano degli Orti Giuli di Pesaro e con un’età di circa 190 anni. Tale approfondimento ha permesso di migliorare la datazione con l’identificazione in tutti i campioni di particolari anomalie nell’anatomia fine del legno, definite frost rings (anelli da gelo), perché generate da abbassamenti repentini di temperatura che alterano la struttura cellulare delle fibrotracheidi e che nel caso specifico corrispondono ad annate con nevicate eccezionali. Tali anelli da gelo sono presenti negli anni 2012, 1985, 1967 e 1929, tutti caratterizzati da eventi nevosi eccezionali che hanno consolidato la qualità della sincronizzazione e della datazione delle serie dendrocronologiche.
L’analisi delle curve di accrescimento evidenziano che il cipresso ha una tendenza negativa nei primi decenni del secolo (1905-1930 circa) e anche nel periodo della Seconda guerra mondiale (1937-1945), quest’ultima forse a seguito di potature di necessità, che hanno ridotto la massa fogliare e quindi la capacità di fotosintesi. Dopo un periodo caratterizzato da accrescimento superiori alla media (1945-1975) si osserva un periodo di circa 40 anni (1975-2015) con lievi variazioni negative e positive intorno alla media, suggerendo condizioni abbastanza stabili di accrescimento. Nell’ultimo decennio si osservano di nuovo accrescimenti superiori alla media probabilmente dovuti ad annate climaticamente favorevoli, considerando che la specie è piuttosto resistente a condizioni di riscaldamento.
(Carlo Urbinati, Gianmarco Braconi, Tommaso Spilli e Enrico Tonelli)
Datazione e variazioni di accrescimento
(area basimetrica in mm2).
In blu: valori e periodi sopra la media.
In arancio: valori sotto la media.
CUSE: cipresso;
TABA: tasso;
CESI: albero di Giuda;
ROBA: rosa di Banks.
CUSEx: cipresso per confronto;
TABAx: tasso per confronto.
Albero di Giuda
Cercis siliquastrum
In alto a sx fiori femminili. In basso a sx dettaglio del frutto. In basso al centro dettaglio delle foglie. A dx corteccia a maturità con fascetti cauliflori. (Fonte: Actaplantarum.org)
Il nome comune “albero di Giuda” è legato a una leggenda secondo la quale l’apostolo Giuda si sarebbe impiccato a questa pianta, oppure alla sua diffusione in Giudea. Cercis siliquastrum L., detto anche “siliquastro”, appartiene alla famiglia delle Fabaceae ed è una fanerofita arborea scaposa di origine sud–europea e dell’Asia occidentale. È una specie arborea caducifoglia di piccole–medie dimensioni (3–8 m, eccezionalmente fino a 10 m), con fusto generalmente irregolare e contorto, corteccia bruno–rossastra, liscia negli esemplari giovani e progressivamente fessurata con l’età. I rami, grigio–rossastri, presentano apparato radicale profondo e ramificato. Le foglie, alterne, semplici, cuoriformi–orbicolari, di 5–10 cm di diametro, sono glabre, intere, con pagina superiore verde scuro e inferiore glauca; le nervature sono palmate e non raggiungono il margine. I fiori, ermafroditi, si schiudono in marzo–aprile prima della fogliazione (antesi precoce) e sono riuniti in fascetti cauliflori inseriti direttamente su rami e tronco. La corolla, di tipo papilionaceo, è di colore rosa–porporino o violaceo, con vessillo più piccolo delle ali. Il frutto è un legume lineare, compresso, glabro, bruno–rossastro a maturità, lungo fino a 10 cm, contenente 10–14 semi ovali, duri e bruno–nerastri.
L'albero di Giuda, originario del Mediterraneo orientale, è presente, allo stato spontaneo o come pianta avventizia, in quasi tutte le regioni d'Italia. E’ una specie eliofila o di mezz’ombra, termofila e xerofila, adattata a climi temperato–caldi con inverni miti. Predilige substrati calcarei o subalcalini, ben drenati, anche pietrosi o rocciosi, e tollera periodi di siccità estiva. Vegeta dal livello del mare fino a circa 800 m di quota, in boschi termofili di latifoglie (spesso in consociazione con Quercus pubescens), boscaglie e macchie mediterranee. In Italia è presente in tutte le regioni, sia come specie spontanea sia come coltivata e naturalizzata in contesti ornamentali urbani e periurbani. Sotto il profilo etnobotanico, il legno, duro e compatto, è stato utilizzato per piccoli manufatti e lavori di ebanisteria. I fiori, melliferi, sono eduli e possono essere consumati crudi in insalata, fritti o conservati sott’aceto o in salamoia, analogamente ai capperi; i semi, farinosi, sono nutrienti. La specie è ampiamente coltivata a scopo ornamentale per la fioritura precoce e abbondante, che la rende di alto valore paesaggistico. Contribuisce alla biodiversità fornendo nettare precoce a insetti pronubi in un periodo di scarsa disponibilità di risorse, e si presta a interventi di rinaturalizzazione e inverdimento in aree mediterranee degradate grazie alla sua resistenza a suoli poveri e siccità.
E’ una specie arborea di seconda grandezza e non particolarmente longeva, con alcune segnalazioni di eccezionalità ma che non superano gli 80 cm di diametro e i 100 anni di età. L’individuo di maggiori dimensioni non è databile, ma i dati del vicino campionato, inducono a stimarlo prossimo alla secolarità. L’analisi dendrocronologica attesta, che dopo un accrescimento ridotto nei primi 20 anni a partire dagli anni ’80 il trend è positivo sebbene caratterizzato da variazioni annuali abbastanza pronunciate, probabilmente riferibili a potature. (Carlo Urbinati, Gianmarco Braconi, Tommaso Spilli e Enrico Tonelli)
Tasso
Taxus baccata
In alto a sx fiori maschili. In basso a sx dettaglio delle foglie. In basso al centro arillo. A dx corteccia a maturità. (Fonte: Actaplantarum.org)
Taxus baccata L., appartiene alla famiglia delle Taxaceae. È una conifera sempreverde a portamento arboreo o arbustivo, caratterizzata da crescita lenta e notevole longevità, con esemplari che possono superare i mille anni di età. Raggiunge generalmente 10–20 m di altezza, con fusto diritto o talvolta policormico, corteccia sottile di colore bruno–rossastro che si sfalda in placche, e chioma densa, irregolare, di colore verde scuro. Le foglie sono aghiformi, lineari, disposte a pettine sui rami laterali, persistenti per 6–8 anni. La specie è dioica, ovvero ci sono sia individui maschili che femminili: questi ultimi producono semi di colore nero avvolti da un arillo carnoso di colore rosso vivo, edule, che contrasta con la tossicità delle altre parti della pianta, ricche di alcaloidi (tassine).
Il tasso è presente ovunque in Europa dalla Scandinavia al nord Africa, dalla penisola iberica al Caucaso. E’ una specie sciafila o di mezz’ombra, mesofila, adattabile a diversi tipi di suolo, pur prediligendo substrati calcarei o subacidi, freschi e ben drenati. Tollera un ampio range altitudinale: dal livello del mare nelle regioni settentrionali fino a 2000–2500 m nelle aree montane mediterranee. In Italia è presente in formazioni forestali miste di latifoglie e conifere, spesso in consociazione con faggio (Fagus sylvatica), acero montano (Acer pseudoplatanus) e frassino maggiore (Fraxinus excelsior), in stazioni fresche e umide, con esposizioni ombreggiate e microclimi temperati. La distribuzione è frammentata, con popolazioni spesso relitte, e la specie è protetta a livello nazionale per la sua rarità e vulnerabilità. Sotto il profilo etnobotanico, T. baccata ha un elevato valore storico e simbolico. Nell’antichità e nel Medioevo il legno, duro, elastico e molto durevole, era apprezzato per la fabbricazione di archi, lance e manufatti di pregio. La tossicità della pianta le ha conferito significati ambivalenti nelle tradizioni popolari, associandola sia alla morte sia all’immortalità; per questo è stata spesso piantata in prossimità di luoghi sacri e cimiteri. In epoca contemporanea, oltre all’uso ornamentale in parchi e giardini, la specie ha acquisito rilevanza farmacologica: dalle foglie e dai rami si estrae il precursore del paclitaxel, principio attivo impiegato nella terapia antitumorale. Il tasso contribuisce inoltre alla biodiversità forestale, offrendo rifugio e siti di nidificazione a varie specie di avifauna e microfauna, e svolge un ruolo ecologico importante nella stabilizzazione del suolo e nella creazione di microhabitat in ambienti forestali maturi.
Individui monumentali sono segnalati un po' ovunque ed uno anche al monastero di Fonte Avellana (PU), considerato fra i più grandi e longevi d’Italia. Il tasso presente al cenobio San Bartolo è stato presumibilmente piantato alle fine del XIX secolo ed è caratterizzato da un fusto molto inclinato, che sicuramente non ha facilitato l’accrescimento anche se la specie ha un’elevata tolleranza all’ombra. Ha infatti un accrescimento molto inferiore alla media nei primi 70 anni di vita, dovuto anche alla concorrenza di altri individui vicini. A partire dal 1976, si osserva invece un marcato incremento per almeno 10 anni, verosimilmente associato alla capacità dell’individuo di recuperare la dominanza apicale e il conseguente sviluppo ortotropico (verticale). L’accrescimento rimane fino ai nostri giorni superiore alla media, ma con valori periodali meno elevati rispetto ai precedenti, a significare che il tasso, a dispetto del suo portamento non ottimale, ha funzionalmente trovato un suo equilibrio anche rimanendo sotto copertura del suo ingombrante vicino: il grande cipresso. (Carlo Urbinati, Gianmarco Braconi, Tommaso Spilli e Enrico Tonelli)
Rosa di Banks
Rosa Banksiae
In alto a sx particolare delle foglie. In basso a sx peduncolo e calice. In basso al centro particolare del fiore.
A dx boccioli fiorali. (Fonte Actaplantarum.org)
Rosa banksiae W.T. Aiton, nota anche come “rosa di Lady Banks”, appartiene alla famiglia delle Rosaceae. È una specie alloctona naturalizzata, originaria della Cina centro‑occidentale, coltivata sin dal XVI secolo e introdotta in Europa agli inizi del XIX secolo. Comprende diverse varietà con fiori colorati dal bianco al giallo chiaro. Attualmente è diffusa come ornamentale in numerose regioni a clima temperato e subtropicale, inclusa l’area mediterranea, dove si è naturalizzata in contesti urbani e periurbani a bassa pressione antropica diretta. Si tratta di una pianta rampicante sarmentosa, semipersistente, priva di aculei e capacità di raggiungere lunghezze superiori a 8‑10 m in condizioni ottimali. Le foglie sono composte da 3‑5 foglioline ovato‑lanceolate, a margine dentellato semplice. La fioritura, unica e precoce (aprile‑giugno), è caratterizzata da fiori piccoli, semplici o doppi, riuniti in corimbi, di colore variabile dal bianco al giallo pallido, talvolta profumati. I frutti sono di piccole dimensioni e di colore variabile a seconda della varietà.
Specie eliofila, predilige esposizioni soleggiate e suoli ben drenati, anche poveri, con pH compreso tra subacido e subalcalino. Tollera moderatamente la siccità estiva e resiste a basse temperature fino a circa – 10 °C, con variabilità legata alla cultivar. Mostra elevata rusticità e resistenza alle principali avversità fitosanitarie, risultando solo occasionalmente suscettibile all’oidio in condizioni di elevata umidità e scarsa ventilazione. L’assenza di aculei e la crescita rapida la rendono idonea alla copertura di pergolati, muri e strutture di sostegno. Rosa banksiae contribuisce alla biodiversità urbana fornendo nettare e polline per insetti pronubi durante la fioritura; la vegetazione densa può offrire rifugio a piccoli uccelli e invertebrati. Non è considerata una specie invasiva nella maggior parte dei contesti mediterranei, sebbene possa espandersi localmente in aree disturbate.
Dal punto di vista etnobotanico, la specie è stata introdotta in Europa per scopi ornamentali ed è apprezzata per la fioritura precoce e abbondante, la resistenza e la scarsa manutenzione richiesta. In Cina era coltivata nei giardini imperiali e nei cortili domestici come simbolo di eleganza e longevità. Il nome specifico è un omaggio a Lady Dorothea Banks, moglie del naturalista Sir Joseph Banks, promotore della sua introduzione nei Royal Botanic Gardens di Kew. Storicamente, è associata a pergolati e giardini romantici ottocenteschi, dove rappresenta un elemento di pregio paesaggistico e culturale.
Esemplari monumentali e ultracentenari sono segnalati a Villa Sismondi di Pescia (var. lutea) e ai giardini di Boboli a Firenze (var. alba plena) ed uno gigantesco a Tombstone (Arizona, USA) piantato nel 1885 e allevato a pergola con una superficie di chioma di oltre 460 metri quadrati.
(Carlo Urbinati, Gianmarco Braconi, Tommaso Spilli e Enrico Tonelli)
L’esemplare del San Bartolo ha un’età ragguardevole oltre 50 anni, ma non eccezionale con il suo peculiare sviluppo evidenzia una dinamica incrementale caratterizzata da un primo periodo di circa 20 anni (1985- 2005) con un accrescimento molto ridotto che dopo un breve periodo di variabilità diventa decisamente positivo negli ultimi 15 anni, riconducibile all’inizio della sua risalita lungo il fusto del cipresso, che a detta dei proprietari fino al 2010 non si era ancora manifestata. L’interazione con la chioma del cipresso non produce evidenti disturbi come attestano gli accrescimenti positivi di ambedue negli ultimi 10 anni.
(Carlo Urbinati, Gianmarco Braconi, Tommaso Spilli e Enrico Tonelli)
Bibliografia:
Schweingruber H.F. (1988) - Tree Rings: Basics and Applications of Dendrochronology, Eds Springer;
Millet J. (2012) - L'architecture des arbres des régions tempérées: son histoire, ses concepts, ses usages. Éditions MultiMondes, 2012;
https://www.actaplantarum.org/
https://dryades.units.it/home/index.php
https://www.isaitalia.org/documentazione/protocollo-sia-stabilita.html