Il cenobio di San Bartolo, da Ludovico Agostini, Le giornate dette le Soriane
L’origine di questo convento è legata a due eremiti di origine spagnola, Giovanni fu Berengario e Pietro di Gualcerano Barbarani, che fra il XIV e XV sec, si insediarono in questo luogo dove era già presente una chiesa di cui si presero cura; nel 1442 il convento fu concesso all’ordine dei Girolamini e nel 1457 la chiesa fu riconsacrata a San Bartolomeo. Al suo interno, circondato da tanti ex-voto è conservato il sarcofago di Pietro di Gualcerano Barbarani, ritenuto protettore dei bambini e sull’altare maggiore, fino al 1822, c’era la pala di San Girolamo in trono dipinta da Giovanni Santi. (Roberta Martufi)
La falesia del colle San Bartolo
Tancredi (?) Liverani, Veduta del cenobio di San Bartolo
Romolo Liverani, Veduta dell'atrio dell'eremitaggio di San Bartolo con la porta della Chiesa
Cristoforo Roncalli, San Nicola da Tolentino
(Particolare di Villa Imperiale e della Vedetta)
Giuseppe Vaccaj, Il cenobio di San Bartolo
L’assetto storico e paesaggistico in cui si colloca il Cenobio di San Bartolo era ed è di particolare rilevanza; dalla seconda metà del XV sec. il Monte Accio, questo era l’antico toponimo, fu il luogo in cui le famiglie ducali della città di Pesaro, gli Sforza prima e i Della Rovere poi, costruirono le proprie residenze per “diletto e maraviglia”. Il Cenobio di San Bartolo era al centro del percorso che dalla monumentale Villa Imperiale, scendendo lungo la falesia e passando per le ville ormai scomparse della Vedetta e della Duchessa, giungeva al mare.
La ricchezza e la fortuna del piccolo convento fu strettamente legata alle famiglie ducali e dunque con l’estinzione dei Della Rovere anche questa struttura come tanti altri beni ducali cadde nell’oblio. Con la soppressione degli ordini religiosi avvenuta con l’Unità d’Italia, anche il Cenobio di San Bartolo divenne proprietà del Comune di Pesaro e nel 1869 fu acquistato dalla famiglia Zanucchi Pompei che la utilizzò come residenza di villeggiatura.
Durante la seconda guerra mondiale, vista la sua posizione strategica nel punto più alto del colle San Bartolo e vicinissimo al faro, il Cenobio non sfuggì alle mire delle truppe tedesche che, con una comunicazione che ne ordinava la messa a disposizione con sole 48 ore di anticipo, lo trasformarono in una importante stazione di osservazione sulla Linea Gotica accampandovi una trentina di militari.
Il Cenobio di San Bartolo è vicinissimo al luogo in cui nel 1583 Francesco Maria II fece costruire la ormai scomparsa villa della Vedetta: la scelta del luogo, da cui la villa deriva il nome, non fu casuale visto che dalle sue terrazze era possibile spaziare lo sguardo a 360°. Nessuno però avrebbe mai potuto pensare che, dopo 360 anni, in quello stesso luogo venissero realizzate “vedette vegetali” non più per godere del paesaggio ma come presidi bellici. Infatti nel giardino dell’antico Cenobio, vicino al campanile della chiesa, un cipresso secolare fu trasformato in “torre di controllo”: con una scaletta in ferro si poteva raggiungere una piattaforma da cui si controllava la vallata; inoltre a controllo del vialetto d’ingresso, quindi in posizione strategica per la difesa dello stesso Cenobio, all’interno di in una grande acacia era stata poi realizzata la seconda “vedetta”. Di quest’ultima non c’è più traccia mentre all’interno dell’antico cipresso è ancora custodita l’antica scaletta in ferro.
(Roberta Martufi)
Bibliografia:
Ludovico Agostini, Le giornate dette le Soriane dell'Imperiale di Pesaro, Biblioteca Oliveriana Pesaro, ms. Oliv. 191;
Antonio Pinelli, Orietta Rossi, ORIETTA ROSSI, Genga Architetto, Bulzoni, 1971;
I frati di San Bartolo, Costellazione n. 11, Pesaro 1996;
Roberta Martufi, Diletto e Maraviglia. Le ville del Colle San Bartolo, Nobili, 1991;
Roberta Martufi, Il Teatro dell’acqua in Villa Caprile. Il Tempio dei Quattro Elementi, cat. mostra, Electa, 1998;
Roberta Martufi, Da “teatri” di villeggiatura a” teatri” di battaglia. Il ruolo delle ville del colle San Bartolo nell’evento bellico, in "Studi pesaresi",13, 2026, pp 209-217.